lunedì 13 aprile 2015

Basta un clic per evitare le file|e le attese agli uffici di Equitalia

Basta un clic per evitare le file|e le attese agli uffici di Equitalia



Basta un clic per evitare le file
e le attese agli uffici di Equitalia
Nell’area riservata del sito della società di riscossione si può verificare se ci sono cartelle o procedure attivate, pagare o chiedere la rateazione fino a 50mila euro
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Basta alle file e alle attese per accedere agli sportelli di Equitalia.
Grazie alla nuova area riservata sul sitowww.gruppoequitalia.it, i cittadini possono verificare in tempo reale cartelle e avvisi di pagamento, pagare quanto dovuto e controllare se sono state attivate procedure di riscossione. Inoltre, è possibile chiedere la rateazione per importi inferiori ai 50mila euro.
Il tutto, nella massima sicurezza e autonomia, senza dover rispettare gli orari di apertura degli sportelli.

Per poter usufruire delle nuove possibilità offerte, basta collegarsi alla home page del sito della società di riscossione, cliccare sull’icona “area riservata” e, successivamente, su “accedi al servizio”, e inserire le credenziali personali, le stesse che si utilizzano per scaricare il modello 730 precompilato: nome utente e password fornite dall’Agenzia delle Entrate, pin dispositivo dell’Inps, carta nazionale dei servizi.

Le nuove opportunità si aggiungono a quelle già offerte senza necessità di autenticarsi:
  • “paga online”, per effettuare pagamenti tramite carta di credito
  • “sospensione online”, per chiedere la sospensione della riscossione
  • “trova sportello” e “canali di contatto”, per chiedere l’assistenza di Equitalia.
Antonio Iazzetta
pubblicato Giovedì 9 Aprile 2015

domenica 29 marzo 2015

Agenzia Entrate: sportelli senza fila,|con il “web ticket” stampato a casa

Agenzia Entrate: sportelli senza fila,|con il “web ticket” stampato a casa



Il “numeretto” che si prende online è l’eliminacode elettronico che consente di prenotare il proprio turno prima di uscire per recarsi all’ufficio fiscale nell’orario prestabilito
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La sperimentazione, partita già da un paio d’anni in alcune regioni, si è conclusa positivamente. E ora tutti i contribuenti, in qualsiasi parte d’Italia, possono “staccare” il biglietto direttamente dal proprio pc e avere i servizi dal primo operatore libero, dopo l’arrivo - all’orario indicato sul tagliando - presso l’ufficio prescelto.

Già dalle 6 del mattino, e fino a esaurimento della disponibilità giornaliera, è possibile prenotare il ticket. Questo sarà valido – esclusivamente – per il corso della giornata, nell’orario indicato sulla prenotazione.
Il web ticket si affianca agli altri sistemi per fissare un appuntamento già esistenti: al telefono oppure online, tramite il sito dell’Agenzia o attraverso il proprio cassetto fiscale.

Come fare
Per materializzare il ticket “virtuale”, dal sito www.agenziaentrate.it – sezione “Contatta l’Agenzia” >Assistenza fiscale > Elimina code online – si deve seguire un percorso guidato e, dopo aver selezionato regione, città, ufficio e servizio desiderato, va compilata una scheda con i propri dati anagrafici.
Inviata la richiesta, arriverà una mail all’indirizzo di posta elettronico indicato, con la conferma della prenotazione e un link per accedere al biglietto, da stampare e presentare in ufficio.

Cosa succede
La procedura consente di risparmiare tempo e di evitare il fastidio di mettersi in coda.
È opportuno, però, rispettare l’orario dell’appuntamento riportato sul ticket (è temporizzato in maniera tale da consentire al contribuente di raggiungere tranquillamente l’ufficio): la prenotazione, infatti, è valida esclusivamente per la giornata in cui viene effettuata e all’ora prestabilita.
r.fo.
pubblicato Mercoledì 25 Marzo 2015

REG. PUGLIA: Approvato dal Consiglio regionale la legge antiusura e antiestorsione


Immagine associata al documento: Approvato dal Consiglio regionale la legge antiusura e antiestorsioneCapone: "Deterrenti per gli usurai, strumenti nuovi per risarcire le vittime"

Una nuova legge regionale per contrastare usura ed estorsione in modo efficace e semplificato. È stata approvata oggi dal Consiglio regionale della Puglia e rinnova alla fonte il sistema del contrasto a queste forme di criminalità, creando da un lato deterrenti per usurai e estorsori e dall'altro strumenti nuovi di risarcimento per le vittime.

"La crisi globale - ha detto l'assessore allo Sviluppo economico Loredana Capone - ha determinato effetti nefasti sulla nostra economia a causa della stretta del credito. Secondo la Cgia di Mestre nel 2013 l'indice del rischio di usura per la Puglia è stato di 139,4. Siamo al quarto posto in Italia. Con questa legge - ha spiegato l'assessore, che se ne è fatta promotrice - la Regione Puglia è in grado di agire su più fronti per guarire questa piaga purulenta che a causa della crisi rischia di infettare il nostro sistema economico. Ecco perché da un lato agiamo sulla prevenzione e dall'altro sulla cura potenziando gli strumenti e soprattutto creando, attraverso la costituzione di parte civile, una fonte rinnovabile di liquidità a sostegno delle vittime potenziali ed effettive".

In una decina di articoli, la legge sostituisce le precedenti norme regionali, ridisegna il contrasto all'usura e all'estorsione rinnovando e semplificando organismi e strumenti, valorizzando il ruolo di confidi, associazioni e fondazioni competenti e delineando in maniera netta le competenze di Regione, enti locali e associazionismo di settore. "La nuova legge - ha continuato l'assessore Capone - ci permette di prevenire il 'male', cioè la pratica della richiesta di danaro agli usurai, attraverso l'informazione e gli incontri con i diretti interessati per informarli, ad esempio, sull'attività di organismi, come i confidi, che in modo lecito possono fornire garanzie alle banche. Ci permette però anche di curare il 'male', recuperando i beni dell'usurato attraverso la costituzione di parte civile e, se ci sono vittime, di sostenere i figli con borse di studio e risarcimenti nei confronti delle famiglie".

In pratica, grazie alle attuali norme, i cittadini in difficoltà avranno a disposizione un nuovo percorso: innanzitutto la consultazione di un albo regionale pubblicato sui siti ufficiali (www.regione.puglia.it e www.sistema.puglia.it) nel quale troveranno i confidi, le fondazioni e le associazioni, accreditati dalla Regione. A questi organismi il cittadino e le imprese si rivolgeranno per ricevere informazioni sulle disponibilità finanziarie e sulle possibilità per accedere al sistema creditizio ottenendo un finanziamento. In sostanza, saranno proprio le organizzazioni inserite nell'albo a prospettare la soluzione del problema inclusa la possibilità di costituirsi esse stesse (cioè confidi, associazioni, fondazioni etc.) parte civile per confiscare e recuperare i beni dell'usurato. 

Tra le novità delle nuove norme, anche l'istituzione di una Consulta regionale antiusura e antiestorsione che costituirà la sede del confronto e della verifica sulle attività svolte, e di un Osservatorio, che diventa un vero e proprio sistema informatico munito di banca dati. 
Per rimpinguare i fondi per il contrasto all'usura, sarà possibile ricevere anche donazioni e sottoscrizioni volontarie provenienti da benefattori.
La legge sarà operativa in tempi brevi: gli atti regionali per renderla attuativa saranno predisposti nell'arco di sei mesi. 
Scarica il formato pdf del comunicato       - [Scarica  .pdf  - 99 Kb]        
 
Data Pubblicazione sul portale: 27 Marzo 2015 
Aree Tematiche: Sistema Puglia, Area Politiche per lo Sviluppo
Redazione: Redazione Sistema Puglia

REGIONE PUGLIA: Approvato il Codice del Commercio


Immagine associata al documento: Approvato il Codice del CommercioCapone: "Non più autorizzazione per i nuovi esercizi ma segnalazione di inizio attività"

Per aprire un nuovo esercizio commerciale basterà la SCIA (Segnalazione certificata di inizio attività) e non più la complicata autorizzazione di prima.
A prevederlo è il "Codice del Commercio" della Regione Puglia, una legge quadro che rende più semplice la vita di decine di migliaia di operatori del commercio perché trasforma la complessa normativa esistente in un sistema di norme razionale e funzionale e liberalizza le attività economiche.

L'assessore allo Sviluppo economico Loredana Capone spiega i dettagli del Codice approvato ieri dal Consiglio regionale: "Abbiamo reso un servizio efficace ed efficiente al commercio che con poco meno di 102mila imprese (il 31% del totale) è un motore economico di primo piano per la Puglia, ma anche ai consumatori che negli anni l'hanno reso tale. Avevamo la necessità di rendere organico un complesso corpus di norme composto da leggi regionali e nazionali non solo numerose, ma elaborate in tempi diversi e per svariate esigenze". "La seconda necessità - continua l'assessore - era adeguare queste leggi al nuovo quadro legislativo ed economico sia nazionale che europeo orientato alla liberalizzazione delle attività e alla semplificazione degli oneri amministrativi a carico delle imprese. Infine c'era proprio la necessità di integrare leggi differenti per semplificare il quadro degli adempimenti ai quali sono sottoposti sia gli operatori che le amministrazioni". 

In particolare il nuovo Codice prevede:
  • la SCIA (Segnalazione certificata di inizio attività) come modalità normale di inizio delle attività, mentre l'autorizzazione rimane come eccezione prevista per attività impattanti o che necessitano di particolari verifiche e controlli preventivi. In particolare rimangono soggette ad autorizzazione le attività che hanno o potrebbero avere impatti sul territorio come le strutture commerciali di dimensioni rilevanti, gli esercizi che prevedono la vendita o la somministrazione di alcolici, i nuovi impianti di distribuzione dei carburanti, le attività che comportano la permanenza di gruppi di persone generando problemi come, per esempio, il rumore, le strutture con potenziali impatti ambientali (come i distributori di carburante) e le attività che si svolgono su aree pubbliche;
  • l'unificazione di alcune normative per tutti i settori, quali la pubblicità dei prezzi, i sub ingressi ecc;
  • la razionalizzazione ed estensione a tutte le attività commerciali di alcuni istituti originariamente previsti in sede fissa come i centri di assistenza tecnica, l'Osservatorio del commercio, i Distretti urbani del commercio;
  • la regolamentazione di tutte le attività di vendita al dettaglio, eliminando i riferimenti a normative nazionali ormai obsolete;
  • infine le sanzioni e le modalità di sospensione e revoca delle autorizzazioni. Anche in questo caso l'unificazione delle normative consente di semplificare notevolmente la normativa.
Scarica la versione in pdf del comunicato       - [Scarica  .pdf  - 98 Kb]        
 
Data Pubblicazione sul portale: 27 Marzo 2015 
Fonte: Ufficio Stampa
Aree Tematiche: Sistema Puglia, Area Politiche per lo Sviluppo
Redazione: Redazione Sistema Puglia

venerdì 27 marzo 2015

Agenzia Entrate: sportelli senza fila,|con il “web ticket” stampato a casa

Agenzia Entrate: sportelli senza fila,|con il “web ticket” stampato a casa



Il “numeretto” che si prende online è l’eliminacode elettronico che consente di prenotare il proprio turno prima di uscire per recarsi all’ufficio fiscale nell’orario prestabilito
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La sperimentazione, partita già da un paio d’anni in alcune regioni, si è conclusa positivamente. E ora tutti i contribuenti, in qualsiasi parte d’Italia, possono “staccare” il biglietto direttamente dal proprio pc e avere i servizi dal primo operatore libero, dopo l’arrivo - all’orario indicato sul tagliando - presso l’ufficio prescelto.

Già dalle 6 del mattino, e fino a esaurimento della disponibilità giornaliera, è possibile prenotare il ticket. Questo sarà valido – esclusivamente – per il corso della giornata, nell’orario indicato sulla prenotazione.
Il web ticket si affianca agli altri sistemi per fissare un appuntamento già esistenti: al telefono oppure online, tramite il sito dell’Agenzia o attraverso il proprio cassetto fiscale.

Come fare
Per materializzare il ticket “virtuale”, dal sito www.agenziaentrate.it – sezione “Contatta l’Agenzia” >Assistenza fiscale > Elimina code online – si deve seguire un percorso guidato e, dopo aver selezionato regione, città, ufficio e servizio desiderato, va compilata una scheda con i propri dati anagrafici.
Inviata la richiesta, arriverà una mail all’indirizzo di posta elettronico indicato, con la conferma della prenotazione e un link per accedere al biglietto, da stampare e presentare in ufficio.

Cosa succede
La procedura consente di risparmiare tempo e di evitare il fastidio di mettersi in coda.
È opportuno, però, rispettare l’orario dell’appuntamento riportato sul ticket (è temporizzato in maniera tale da consentire al contribuente di raggiungere tranquillamente l’ufficio): la prenotazione, infatti, è valida esclusivamente per la giornata in cui viene effettuata e all’ora prestabilita.
r.fo.
pubblicato Mercoledì 25 Marzo 2015

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mercoledì 25 marzo 2015

Online un sito di info & assistenza|tutto dedicato al 730 precompilato

Online un sito di info & assistenza|tutto dedicato al 730 precompilato



Online un sito di info & assistenza
tutto dedicato al 730 precompilato
In rete le pagine-guida per un approccio semplificato con il prossimo adempimento dichiarativo: dalle modalità di accesso fino alla trasmissione del modello, con o senza modifiche
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Il 730 precompilato si presenta. E lo fa con un sito dedicato di informazione e assistenza, attraverso il quale l’Agenzia delle Entrate accompagna il cittadino, passo dopo passo, lungo la strada della più grande novità fiscale di questa prima parte del 2015. Dal 15 aprile, poi, scatterà il semaforo verde per l’accesso all’area riservata.
Si diceva passo dopo passo. In effetti, la sezione “I passi da seguire” rappresenta il cuore dello spazio web, pensata e realizzata come una lista delle cose da fare, temporalmente ordinata, per approcciarsi senza problemi al 730 precompilato. Dalle informazioni sulle modalità di ingresso nell’applicazione web vera e propria (un’area riservata a cui si accede con le credenziali di Fisconline oppure con il pin dispositivo dei servizi online dell’Inps), fino ai click che consentono la consultazione delle ricevute della dichiarazione inviata. In mezzo, la guida all’intera procedura, i cui contenuti saranno online a partire dal 15 aprile insieme all’apertura dell’area riservata.

Le diverse sezioni del sito
I “passi da seguire”, ma non solo.
Il sito si apre, infatti, con alcune indicazioni elementari, ma al tempo stesso essenziali. Le prime domande che il contribuente inesperto o meno informato si pone trovano risposta in altrettante aree, “battezzate” in modo inequivocabile: “Cos’è il 730 precompilato”, “A chi interessa” “I vantaggi”.
È in queste pagine che il contribuente può, per esempio, verificare se rientra nella platea dei destinatari, cioè, in generale (ma con alcune esclusioni), lavoratori dipendenti (anche senza sostituto tenuto a effettuare il conguaglio) e pensionati che abbiano presentato il 730/2014 (o il modello Unico PF 2014, anche nella versione mini, pur avendo i requisiti per presentare il 730) e che abbiano ricevuto dal sostituto d’imposta la Certificazione unica 2015 (che da quest’anno ha sostituito il Cud), trasmessa tempestivamente all’Agenzia delle Entrate. O, ancora, può informarsi su quali siano i dati inseriti nel suo 730 precompilato e sulla relativa fonte.

Poi, a disposizione di chi avesse bisogno di approfondire ed entrare maggiormente nello specifico, ci sono le “Domande frequenti”; un’area, anche questa, che sarà costantemente arricchita. In prima battuta, i quesiti sono raggruppati in tre categorie: “In generale”, “Abilitazione” e “Vantaggi sui controlli”. Alcuni esempi: “Posso presentare il 730 precompilato in forma congiunta?”; “Ho il pin dispositivo dell’Inps. Devo accedere all’area riservata direttamente dal sito dell’Inps?”; “Se confermo le informazioni esposte nel prospetto con gli elementi a base della dichiarazione, ma non inserite nel 730 precompilato, la dichiarazione si considera accettata senza modifiche?”.

Completano il pacchetto: l’“Agenda”, con tutte le date - relative al 730 precompilato - da cerchiare in rosso sul calendario; uno spazio (quello degli “Avvisi”) destinato ad accogliere le notizie che, di volta in volta, sarà necessario mettere in evidenza; l’accesso alla pagina di verifica del browser (per poter utilizzare il 730 precompilato è necessario, infatti, che il browser utilizzato sia aggiornato a una versione recente); la finestra “Multimedia”, porta di accesso a video e altri contenuti multimediali, che a mano a mano popoleranno la sezione.

Infine, la pagina dei “Contatti”, con l’illustrazione dei canali messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate per ottenere informazioni e assistenza sul 730 precompilato: l’848.800.444, la web mail e gli sms. Oltre all’ufficio, a cui, dal 15 aprile, è possibile richiedere assistenza specifica, fruendo anche del servizio dedicato di prenotazione appuntamenti.

Da oggi è disponibile sul canale YouTube dell’Agenzia delle Entrate, anche un video informativo sul 730 precompilato, che illustra novità e contenuti del modello e i vantaggi offerti sul piano dei controlli.
Seguiranno su “Entrate in video” dei veri e propri tutorial con cui l’Amministrazione finanziaria guiderà i contribuenti mostrando in concreto il funzionamento della precompilata: funzionari del Fisco spiegheranno in maniera semplice come accettare la dichiarazione, ovvero modificarla e trasmetterla all’Agenzia delle Entrate, direttamente via Internet o tramite il sostituto di imposta, un Caf o un professionista.
Valentina Polverini
pubblicato Lunedì 23 Marzo 2015

Previdenza e imposte su reddito|sono quelle dello Stato di residenza

Previdenza e imposte su reddito|sono quelle dello Stato di residenza



Previdenza e imposte su reddito
sono quelle dello Stato di residenza
Al centro della controversia esaminata dai giudici comunitari il regolamento Ue sul regime di sicurezza sociale applicabile a lavoratori subordinati, autonomi e loro familiari
nave posatubi
La domanda di pronuncia pregiudiziale, oggetto della controversia che ha richiesto l'intervento degli eurogiudici, verte sull’interpretazione di un regolamento comunitario, il n. 1408/71 del Consiglio UE, in materia di sicurezza sociale che trova applicazione ai lavoratori subordinati e autonomi e loro familiari che si spostano nell’ambito del territorio dell’Unione europea.
Nello specifico la domanda di pronuncia pregiudiziale è stata presentata nell’ambito di un ricorso che la parte ricorrente ha presentato in merito al Paese di iscrizione al regime generale di previdenza e di riflesso a quello in cui versare le imposte sul reddito.

Il procedimento principale
La parte ricorrente, per un periodo di tempo, ha lavorato a bordo di una nave posatubi. A seguito del passaggio del suo impiego a datore di lavoro extra UE si sollevava il problema se versare o meno il contributo sociale seguendo il regime sociale del Paese di residenza. Per altro verso la retribuzione ha continuato ad essere assoggettata all’imposta sul reddito del paese di residenza. Al riguardo, adito dal giudice di cassazione, la parte ricorrente ha sollevato il dubbio del versamento dei contributi al paese di residenza nel periodo in cui l’attività lavorativa veniva prestata in territorio di paese non appartenente alla Comunità europea. Il problema è stato sollevato in considerazione del dubbio richiamo al regolamento n. il n. 1408/71 del Consiglio Ue, in materia di regime di sicurezza sociale e ai lavoratori ragione per la quale il giudice del rinvio ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre ai giudici della Corte le questioni pregiudiziali.

Le questioni pregiudiziali
Il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se nel caso in cui nella fattispecie principale è applicabile il regolamento n. 1408/71 anche per stabilire l’assoggettamento ad imposta degli stessi redditi percepiti nel paese di residenza. In secondo luogo, nelle more di applicazione del regolamento stesso quale legislazione nazionale è applicabile?

Sulle questioni pregiudiziali
I togati europei hanno sottolineato come da passata giurisprudenza della Corte è risultato come un nesso stretto tra rapporto di lavoro e svolgimento dello stesso nel territorio UE, derivi dalla circostanza che un cittadino dell’Unione, residente in uno Stato membro, venga assunto da un’impresa stabilita in un altro Stato membro per conto della quale presta la propria attività lavorativa. Venendo all’applicabilità del regolamento n. 1408/71 in materia del regime di previdenza e di sicurezza social, nella fattispecie di cui alla causa principale lo stesso è applicabile ma occorre distinguere tra contribuzione volontaria e obbligatoria. Nel primo caso, la legislazione da seguire è quella del paese del datore di lavoro, mentre, nel secondo caso occorre seguire la legislazione del paese di residenza. Sotto altro aspetto, il regolamento in questione, comunque, non contiene previsioni in merito al trattamento fiscale dei redditi, sui quali si calcolano le prestazioni sociali e pertanto gli stessi redditi restano imponibili nel paese di residenza del lavoratore.

La pronuncia 
I giudici della quinta sezione si sono espressi nel senso di ritenere applicabile il regolamento n. 1408/71 del Consiglio UE, in materia di regime di sicurezza sociale ratione personae alla fattispecie di cui alla causa principale. Il regolamento in questione, però, non contiene previsioni in merito al trattamento fiscale dei redditi, sui quali si basano le prestazioni sociali, e che pertanto restano imponibili nel paese di residenza del lavoratore. Tuttavia, nelle particolare circostanze come quelle di cui al procedimento principale, per ciò che concerne l’iscrizione a regimi di previdenza sociale non obbligatoria la legislazione che si applica è quella dello Stato membro in cui il prestatore dell’attività di lavoro risiede.

Data della sentenza
19 marzo 2015
Numero della causa
C-266/13
Nome delle parti
  • L. Kik
contro
  • Staatssecretaris van Financiën
Andrea De Angelis
pubblicato Martedì 24 Marzo 2015

La flemma dei processi tributari|non innesca l’equa riparazione

La flemma dei processi tributari|non innesca l’equa riparazione



La disciplina del “giusto risarcimento”, per mancato rispetto del termine ragionevole, non è applicabile ai giudizi in materia fiscale involgenti la potestà impositiva dello Stato
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La Corte di cassazione, con la sentenza 4282 del 3 marzo 2015, ha escluso dalla disciplina dell'equo indennizzo, per violazione del termine ragionevole processuale, le controversie in materia tributaria nelle quali l'esistenza del diritto al rimborso di un tributo già corrisposto dipenda dall'accertamento della fondatezza o meno della correlata pretesa impositiva ovvero riguardi un rapporto obbligatorio interamente regolato da norme di diritto pubblico, che sottraggono la causa alla materia civile di cui all'articolo 6, paragrafo 1, Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu).


Il Collegio è stato chiamato a risolvere un particolare caso sollevato da un contribuente, che chiedeva la corresponsione dell’equo indennizzo per l’eccessiva durata di un processo tributario, ai sensi dell’articolo 5-ter della legge 89/2001.
Nel processo veniva chiesta, alla Commissione tributaria, la condanna dell’Amministrazione finanziaria al pagamento del rimborso delle ritenute fiscali operate sull’indennità della buonuscita.
La Corte d’appello, competente a rispondere alla domanda di indennizzo, aveva rigettato la richiesta per manifesta infondatezza dell’opposizione, improntata non sull’allegazione di un mero errore di calcolo ma sulla correttezza della pretesa impositiva.

Il contribuente proponeva ricorso per cassazione, evidenziando come la sua richiesta non riguardava la pretesa impositiva dell’Amministrazione finanziaria, ma il rimborso delle ritenute fiscali, da questa indebitamente operate: ciò avrebbe palesato la natura privatistica della richiesta, non essendo pacifica l’applicabilità delle disposizioni della legge 89/2001 alle controversie relative al rimborso delle somme versate dal contribuente al Fisco.
L’equa riparazione per mancato rispetto del termine ragionevole trova la sua disciplina nell’articolo 6, comma 1, della Cedu, il quale stabilisce che “ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti”.
In accoglimento della normativa contenuta nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, è stata introdotta nel nostro ordinamento la legge 89/2001.

La giurisprudenza della Corte di cassazione (cfr pronunce 15604/2006, 8035/2006, 21651/2005, 21404/2005, 17139/2004 e 11350/2004) ha, in più riprese, chiarito che non trova applicazione il principio dell’equa riparazione nei giudizi in materia tributaria involgenti la potestà impositiva dello Stato, essendo del tutto estranei al quadro normativo delle liti in materia civile.
Inoltre, la Convenzione individua due aree di tutela, quella civile e quella penale, dunque l’attività impositiva dello Stato membro non pregiudica la protezione del diritto di proprietà.

La Corte suprema prosegue affermando che “l'equa riparazione prevista dalla legge nazionale per la violazione dell'art. 6, paragrafo 1 CEDU non è riferibile ai casi di durata irragionevole di controversie che involgano l'esistenza e l'esercizio della potestà impositiva dello Stato”.
Pertanto, la norma prevista dall’articolo 6 della Cedu è applicabile alla natura pecuniaria delle obbligazioni aventi carattere civilistico, al quale si contrappongono quelle di natura pubblicistica dalle quali derivano le obbligazioni tributarie.
Infatti, l’obbligazione tributaria, pur avendo matrice comune con quella civilistica, è funzionale al raggiungimento di obiettivi di natura pubblicistica, è richiesta, pertanto, una rigorosa e tassativa disciplina delle modalità di attuazione del rapporto obbligatorio d’imposta. Da ciò ne consegue che la finalità pubblicistica dell’obbligazione tributaria impone un giudizio di preventiva compatibilità di istituti propri dell’autonomia privata.
Occorre evidenziare, quindi, che il contenzioso tributario non rientra nell’ambito dei diritti e delle obbligazioni aventi carattere civile, nonostante gli effetti patrimoniali prodotti nella sfera giuridica dei contribuenti.

Un discorso a parte meritano le sanzioni tributarie.
La giurisprudenza della Corte di cassazione ha messo sullo stesso piano le sanzioni penali e quelle tributarie, considerandole alternative alle prime.
Sempre dalla Corte di legittimità, le stesse sanzioni tributarie vengono equiparate anche alle sanzioni civili, perché riguardanti le pretese nei confronti dei contribuenti che non investono il tributo, in quanto sono a esso consequenziali.

Tra le richieste di rimborso di natura privatistica non rientrano le controversie sulla restituzione delle imposte, anche se, nel caso concreto, sono ritenute dal contribuente indebitamente trattenute, perché “il relativo diritto non è accertato secondo i principi di diritto civile sulla ripetizione di indebito, ma in base all'esistenza o meno del potere impositivo” (cfr Cassazione, pronunce 2371/2011, 13657/2007 e 21403/2005).

In conclusione, la Corte ha cassato la richiesta del contribuente perché l’oggetto del contendere era riferito alla fondatezza o meno della pretesa impositiva dell’Amministrazione finanziaria.
Il rapporto obbligatorio tra il Fisco e il contribuente è normato da regole di diritto pubblico, non ricompreso nell’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Valerio Giuliani
pubblicato Martedì 24 Marzo 2015

Wi-fi, servizi e pubblicità online: |il credito per il turismo digitale

Wi-fi, servizi e pubblicità online: |il credito per il turismo digitale



Dettate le disposizioni applicative per l’attribuzione dell’agevolazione prevista dal “decreto cultura” a favore degli esercizi ricettivi, delle agenzie di viaggio e dei tour operator
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Definiti gli aspetti pratici dell’incentivo fiscale per favorire la digitalizzazione delle strutture ricettive nell’ambito del settore turistico (articolo 9 del Dl 83/2014), misura con la quale il legislatore ha voluto agevolare gli imprenditori che investono nell’information technology per migliorare i servizi turistici e mettere a disposizione degli ospiti i servizi della rete, potenziando la qualità dell’offerta ricettiva.
In particolare il decreto attuativo 12 febbraio 2015 del ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo (di concerto con il ministero dell’Economia e delle finanze), pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale, indica le “tipologie delle spese eleggibili, le soglie massime di spesa eleggibile, nonché i criteri di verifica e accertamento dell’effettività delle spese sostenute; le procedure per l’ammissione delle spese al credito d’imposta, e per il suo riconoscimento e utilizzo; le procedure di recupero nei casi di utilizzo illegittimo del credito d’imposta medesimo; le modalità per garantire il rispetto del limite massimo di spesa”.

L’agevolazione riguarda gli anni 2014, 2015 e 2016, e consiste in un credito d’imposta pari al 30% dei costi sostenuti per investimenti e attività di sviluppo e promozione per la digitalizzazione dei servizi turistici, da ripartire in tre quote annuali di pari importo, fino ad un importo complessivo massimo di 12.500 euro nel triennio. Il bonus è “alternativo e non cumulabile, in relazione a medesime voci di spesa, con altre agevolazioni di natura fiscale”.

Chi può beneficiare dell’agevolazione
Il Dl specifica che destinatari del beneficio sono:
  • gli esercizi ricettivi singoli, cioè ad esempio strutture alberghiere a gestione unitaria, con un minimo di sette camere per il pernottamento degli ospiti, oppure strutture extra-alberghiere, come affittacamere, ostelli, case vacanze, residence, bed & breakfast
  • gli esercizi ricettivi aggregati con servizi extra-ricettivi o ancillari, cioè strutture singole aggregate (nella forma del consorzio, delle reti d’impresa, eccetera) a soggetti che forniscono servizi accessori alla ricettività (ad esempio ristorazione, prenotazioni, trasporto)
  • le agenzie di viaggio e tour operator.

Quali spese considerare per il credito d’imposta
Le principali voci di spesa agevolabili sono quelle inerenti gli impianti wi-fi (sempre che la struttura fornisca ai clienti un servizio gratuito di velocità di connessione pari ad almeno 1 Megabit/s in download), i siti web con app per la telefonia mobile, i programmi e sistemi informatici che favoriscono la vendita diretta di servizi e pernottamenti, spazi web e pubblicità online, consulenze per la comunicazione e marketing digitale, acquisto di software per agevolare gli utenti con disabilità, la formazione del titolare e del personale dipendente all’uso dei nuovi strumenti telematici. Restano escluse le spese di intermediazione commerciale.

Quali passi per le aziende che vogliono accedere al credito d’imposta
Il decreto definisce i termini per l’invio e i contenuti delle domande, che devono essere corredate dall’“attestazione rilasciata dal presidente del Collegio sindacale, ovvero da un revisore legale iscritto nel registro dei revisori legali, o da un professionista iscritto nell’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, o nell’albo dei periti commerciali o in quello dei consulenti del lavoro, ovvero dal responsabile del centro di assistenza fiscale”, da cui risulta l’effettività del sostenimento delle spese.
Le istanze devono essere presentate telematicamente al Mibact dal 1° gennaio al 28 febbraio dell’anno successivo a quello cui si riferiscono le spese; per quelle del 2014, le domande andranno inviate entro sessanta giorni dal momento in cui il ministero definirà le modalità telematiche di presentazione (sessanta giorni dall’entrata in vigore del decreto).
Entro i sessanta giorni successivi al termine ultimo per presentare la domanda, il ministero comunicherà all’impresa il riconoscimento (con indicazione del credito spettante) o il diniego dell’agevolazione.

Il credito d’imposta, che non concorre alla formazione dell’imponibile ai fini delle imposte sui redditi e dell’Irap, deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo per il quale è concesso e può essere utilizzato soltanto in compensazione tramite i servizi telematici dell’Agenzia delle entrate.

Il credito d’imposta è revocato e il beneficio indebitamente fruito viene recuperato:
  • se viene accertata l’insussistenza di uno dei requisiti soggettivi e oggettivi
  • nel caso la documentazione presentata contenga elementi non veritieri o sia incompleta
  • se i beni oggetto degli investimenti sono destinati a finalità estranee all’esercizio d’impresa
  • in caso di accertamento della falsità delle dichiarazioni rese.
Rosa Colucci
pubblicato Martedì 24 Marzo 2015

Deposito Iva “virtuale”: sanzioni in linea con la pronuncia Ue

Deposito Iva “virtuale”: sanzioni|in linea con la pronuncia Ue



Per i giudici comunitari, in mancanza di tentativo di frode, la violazione ha carattere formale e la relativa pena pecuniaria è tenuta a rispettare il principio di proporzionalità
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La circolare n. 12/E del 24 marzo 2015 riepiloga le questioni interpretative relative alla disciplina dei depositi Iva, anche alla luce delle problematiche trattate in sede di interpello e della sentenza della Corte di giustizia Ue, C-273/13, dello scorso 17 luglio.
Nello specifico, il documento di prassi, dopo avere effettuato un excursus della disciplina agevolativa, si sofferma sul contenuto della pronuncia dell’Organo giurisdizionale europeo in materia di legittimità del deposito “virtuale”, valutandone l’impatto dal punto di vista sanzionatorio.
Viene, quindi, evidenziata la stretta interdipendenza tra depositi Iva e depositi doganali e il conseguente, necessario, richiamo alla disciplina e alla prassi doganale in materia (circolare 16/D del 20 ottobre 2014).

I depositi Iva sono luoghi fisici, situati nel territorio dello Stato italiano, all’interno dei quali la merce viene introdotta, staziona e, poi, viene estratta.
Fiscalmente, consentono di assolvere l’imposta per determinate operazioni, se dovuta, da parte dell’acquirente finale, solo al momento dell’estrazione dei beni, con il meccanismo dell’inversione contabile (articolo 50-bis del Dl 331/1993).
Si evita, in questo modo, che i beni comunitari ricevano un trattamento fiscale meno favorevole rispetto a quello previsto per i beni provenienti da Paesi terzi, che possono essere introdotti in depositi appositamente costituiti ai fini doganali senza pagamento dell’imposta fino al momento della loro importazione.

I beni devono essere materialmente introdotti nel deposito, non essendo sufficiente la mera presa in carico documentale degli stessi nell’apposito registro detenuto dal depositario.
Limitatamente alle prestazioni di servizi, comunque, è prevista la possibilità di custodire le merci anche in spazi limitrofi al deposito, senza la necessaria introduzione fisica dei beni nello stesso (articolo 34, comma 44, del Dl 179/2012).

I beni
Possono essere introdotti e custoditi nei depositi Iva beni nazionali e comunitari, non destinati alla vendita al minuto durante la loro giacenza in detti locali, ma anche beni provenienti da Paesi terzi purché preventivamente immessi in libera pratica, prestando un’idonea garanzia commisurata all’imposta. L’immissione in libera pratica di beni destinati a essere introdotti in un deposito Iva non costituisce un’importazione in sospensione di imposta, ma un’importazione per cui l’Iva è differita al momento in cui tali merci saranno estratte dal deposito stesso per essere commercializzate in Italia e sarà assolta dai soggetti passivi, con il meccanismo dell’inversione contabile (reverse charge).
Sono esclusi dalla disciplina i beni esistenti in Italia in regime di ammissione temporanea ovvero introdotti in recinti o magazzini di temporanea custodia in attesa di ricevere una destinazione doganale, nonché quelli importati a scarico di un regime di perfezionamento attivo con la modalità dell’esportazione anticipata.
L’introduzione dei beni nei depositi Iva avviene sulla scorta di documenti amministrativi, commerciali o di trasporto, contenenti i dati identificativi dei beni e del soggetto proprietario degli stessi, per conto del quale avviene l’operazione di introduzione, e, per i beni immessi in libera pratica in Italia, sulla base del documento doganale di importazione (articolo 4 del Dm 419/1997).

I soggetti
L’utilizzo del deposito Iva è consentito esclusivamente ai soggetti d’imposta e non anche ai privati consumatori, per cui i beni, durante la loro giacenza nel deposito, non possono formare oggetto di vendita al dettaglio; ciò, al fine di evitare che lo strumento possa essere utilizzato per eludere l’imposta, rinviandone il pagamento al momento dell’estrazione dei beni dal deposito.
In tale ottica, è preclusa agli operatori economici che svolgono esclusivamente attività di vendita al minuto la possibilità di fruire del beneficio del deposito Iva mentre, nella diversa ipotesi di esercizio di attività promiscua di vendita di merci al minuto e all’ingrosso, è possibile utilizzare il deposito Iva limitatamente alle merci commerciate all’ingrosso purché, naturalmente, in contabilità separata.

Il deposito Iva
Non per tutti i depositi Iva occorre l’autorizzazione (articolo 50-bis del Dl 331/1993). Ci sono, infatti, depositi per i quali non è previsto alcun provvedimento abilitativo, per i quali si fa riferimento a situazioni già valutate positivamente e quindi autorizzate dall’amministrazione doganale come, ad esempio, magazzini generali e depositi franchi. Nell’ipotesi in cui, invece, è richiesta l’autorizzazione, la gestione del deposito può essere affidata anche a operatori economici che riscuotono la fiducia dell’amministrazione finanziaria in quanto non sono mai stati sottoposti a procedimento penale per reati finanziari, non hanno riportato condanne per reati finanziari né commesso violazioni gravi e ripetute, per loro natura o entità, alle disposizioni che disciplinano l’imposta sul valore aggiunto e non sono mai stati assoggettati a procedure fallimentari, di concordato preventivo, di amministrazione controllata, né si trovano in stato di liquidazione (articolo 2, comma 1, Dl 419/1997).

Il depositario si occupa, tra l’altro, della gestione contabile dei beni, per cui, antecedentemente alla prima operazione d’introduzione, è obbligato a istituire un corretto registro (articolo 50-bis, comma 3, Dl 331/1993). Il registro deve contenere l’indicazione del numero e della specie dei colli, della natura, qualità e quantità dei beni, del corrispettivo o, in mancanza, del valore normale dei beni, del luogo di provenienza dei beni di volta in volta introdotti e di destinazione di quelli estratti, del soggetto proprietario dei beni per conto del quale l’introduzione o l’estrazione degli stessi è effettuata. Il gestore, oltre a rispondere in proprio per gravi e ripetute violazioni nella gestione della contabilità o nei casi di condanna per reati finanziari, risponde in solido con il soggetto d’imposta per il mancato o irregolare assolvimento dell’Iva, se dovuta, all’atto dell’estrazione dei beni, salvo che possa dimostrare la legittimità del proprio operato. Il depositario svolge anche le funzioni di rappresentante fiscale dei soggetti non residenti non identificati ai fini Iva in Italia per le operazioni relative ai beni in deposito.

L’introduzione dei beni del deposito
Le operazioni che usufruiscono del regime sono diversificante in base alla circostanza che presuppongano o meno una contestuale introduzione fisica dei beni nei depositi (comma 4).
Rientrano nella prima tipologia gli acquisti intracomunitari di beni eseguiti mediante introduzione nel deposito Iva, l’immissione in libera pratica di beni destinati a essere introdotti nel deposito Iva, le cessioni nei confronti di operatori comunitari di beni mediante introduzione nel deposito Iva e le cessioni di determinati beni (indicati nella tabella A-bis) destinati a essere introdotti nel deposito Iva.
Fanno, invece, parte della seconda categoria le cessioni di beni custoditi in deposito Iva, il trasferimento dei beni in altro deposito Iva e le prestazioni di servizi rese su beni custoditi nel deposito Iva.
In ragione della funzione svolta dall’istituto del deposito Iva, le agevolazioni in esame si rendono applicabili se i beni sono materialmente introdotti nel deposito, non essendo sufficiente la mera presa in carico documentale degli stessi nell’apposito registro detenuto dal depositario, fatta eccezione per i beni oggetto di lavorazione, in presenza di determinate circostanze, illustrate nel documento di prassi.

L’estrazione dei beni dal deposito
Possono procedere all’estrazione dei beni dal deposito solo i soggetti passivi d’imposta, identificati in Italia, direttamente o tramite rappresentante fiscale o i soggetti stabiliti in Italia per il tramite di una stabile organizzazione.
L’estrazione dei beni dal deposito Iva può dare luogo a operazioni non imponibili, quali cessioni all’esportazione o cessioni intracomunitarie ovvero a operazioni assoggettate a imposta.
Nell’ipotesi in cui l’estrazione avvenga per l’utilizzazione o la commercializzazione dei beni nel territorio dello Stato, l’obbligo di assolvere il tributo fa invece capo allo stesso soggetto d’imposta proprietario dei beni che procede in proprio o tramite terzi all’estrazione.
In linea di principio, la base imponibile è costituita dal corrispettivo o, in assenza di corrispettivo, dal valore dell’operazione, non assoggettato all’Iva in conseguenza dell’introduzione nel deposito (circolari 28/2011 e 8/2009).
Qualora i beni, durante la loro giacenza, abbiano formato oggetto di una o più cessioni, la base imponibile è costituita dal corrispettivo o valore dell’ultima transazione.

L’introduzione virtuale dei beni nel deposito
La Corte di giustizia Ue, nella causa C-272/13 del 17 luglio 2014, si è pronunciata in merito alle ipotesi di merci introdotte nel deposito non fisicamente, ma soltanto virtualmente, vale a dire mediante la loro iscrizione nel registro di magazzino del depositario.
L’Organo giurisdizionale ha, sul punto, affermato che la disciplina comunitaria non prevede, tra i presupposti per l’esenzione dall’Iva sull’importazione di beni in regime di deposito non doganale, l’obbligo di introduzione materiale della merce nel deposito. Tuttavia, è ammesso che gli ordinamenti dei singoli Stati, per garantire la riscossione dell’imposta, considerino tale requisito imprescindibile.

In assenza di frode, se un soggetto passivo abbia beneficiato del regime agevolato senza rispettare la condizione, versando l’imposta tramite reverse charge all’atto dell’estrazione dei beni dal deposito e non in dogana al momento dell’importazione, si configura pertanto la violazione di un obbligo di natura formale, consistente nel tardivo versamento dell’imposta, che non rimette in discussione il diritto alla detrazione ed è punibile con sanzioni proporzionate alla natura e alla gravità dell’illecito.
La sanzione consistente nella maggiorazione del 30% dell’imposta, secondo la sentenza, risulterebbe contraria al principio di proporzionalità, in quanto sarebbe applicata in misura fissa, senza un criterio di gradazione.

In realtà, la norma - precisa la circolare - consente una gradazione della misura della sanzione a seconda del ritardo con cui viene effettuato il pagamento (“Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione …, oltre a quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, è ulteriormente ridotta ad un importo pari ad un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo …”); inoltre, è possibile avvalersi dell’istituto del ravvedimento operoso, che consente una ulteriore riduzione della sanzione al verificarsi di determinate condizioni.

Trattandosi di violazione relativa al versamento dell’Iva in dogana al momento dell’importazione, la sanzione dovrà essere irrogata dall’Agenzia delle Dogane; il giorno finale da prendere in considerazione per la sua quantificazione è quello in cui risulta annotata, nei registri contabili, l’autofattura emessa al momento dell’estrazione dei beni dal deposito (come già indicato dalla circolare 16/D del 2014).
Gianfranco Mingione

martedì 17 marzo 2015

Con il consenso dell’indagato,|la cassaforte si apre senza Pm

Con il consenso dell’indagato,|la cassaforte si apre senza Pm



Le norme sulle attività esterne degli organi verificatori sono congegnate in modo tale da contemperare l’interesse del Fisco con le garanzie previste a favore dei contribuenti
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Per procedere, durante l'accesso, a perquisizioni personali e all'apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili, è sempre necessaria l'autorizzazione del procuratore della Repubblica (articolo 52, comma 3, del Dpr 633/1972, applicabile anche al comparto delle imposte dirette in virtù del richiamo contenuto nell'articolo 33 del Dpr 600/1973).
La stessa autorizzazione non serve, invece, quando l’indagine si svolge con la collaborazione del contribuente (ovvero senza la manifestazione di una sua contraria volontà), da far constatare nel processo verbale.
È questo il principio che si desume dalla sentenza n. 3204 del 18 febbraio 2015, che riprende le conclusioni di una precedente pronuncia, la 9565/2007.

L’iter processuale
La vicenda riguarda l’impugnazione, da parte del titolare di una ditta individuale, di un avviso d’accertamento emesso in seguito a un processo verbale della Guardia di finanza, con il quale l’Amministrazione finanziaria recuperava, tra l’altro, una maggiore Irpef e una maggiore Iva in relazione al corrispettivo versato da un Comune per un appalto relativo al trasporto di rifiuti solidi urbani.
La documentazione che attestava il pagamento era stata reperita dalla Guardia di finanza nella cassaforte del contribuente.

Sia la Ctp sia la Ctr rigettavano le doglianze del contribuente relative a presunte violazioni commesse in sede di verifica.

Con successivo ricorso in Cassazione, sulla specifica questione, veniva denunciata la violazione e falsa applicazione dell'articolo 52, comma 3, del Dpr 633/1972, nonché l'insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione rispettivamente al n. 3 e al n. 5 dell’articolo 360, comma 1, codice di procedura civile.

La Cassazione ha ritenuto inammissibile, oltre che infondata, la specifica doglianza: inammissibile per la mancanza del quesito di diritto applicabile, in virtù dell’articolo 366-bis, cpc, ratione temporis; infondato, in quanto “l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica all'apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ecc., prescritta in materia di IVA dall'art. 52, co. 3, del D.p.r. n. 633 del 1972 (e necessaria anche in tema di imposte dirette, in virtù del richiamo contenuto nell'art. 33 del D.p.r. n. 600 del 1973), è richiesta soltanto nel caso di "apertura coattiva" - come testualmente prescrive la norma succitata - e non anche quando l'attività di ricerca si svolga con la collaborazione del contribuente (Cass. 9565/2007)”.

Nel caso concreto, lo stesso ricorrente aveva affermato di aver prestato la propria assistenza per l’apertura della cassaforte, senza aver fatto constatare il proprio dissenso al momento di chiusura della verifica, essendosi solamente riservato di formulare eventuali controdeduzioni nelle sedi competenti.

Nel merito, il contribuente eccepiva la violazione dell’articolo 109 del Tuir e degli articoli 3, 6, e 21 del Dpr 633/1972.
Per quanto concerne il settore delle imposte dirette, la Ctr avrebbe errato nel ritenere corretta l’imputazione dei ricavi all’anno 1997, invece che al 1987, anno in cui il servizio era stato ultimato, definito e accettato (anche nei termini economici) dalla stazione appaltante.
In merito all’Iva, la Ctr non avrebbe considerato che, nonostante il contenzioso in atto con la stazione appaltante, la prestazione era stata ultimata nel 1987, per cui la relativa fattura (momento rilevante per l’effettuazione dell’operazione ai sensi dell’articolo 6 del Dpr 633/1972) non poteva che essere stata emessa prima del 1997.
Anche questa censura è stata ritenuta infondata.

Quanto alle imposte dirette, la Corte ricorda che, in tema di appalto, i ricavi rilevano solo al momento dell’ultimazione dei lavori, quando sia intervenuta l'accettazione del committente, derivante dalla positiva esecuzione del collaudo o da manifestazioni incompatibili con la volontà di non accettare (accettazione tacita): nel caso in esame, era evidente come una tale volontà non si era manifestata, vista la necessità, per il contribuente, di adire la via giurisdizionale per ottenere (a seguito di sentenza passata in giudicato nel 1997) il pagamento del corrispettivo.
In relazione all’Iva, le prestazioni di servizi si considerano effettuate soltanto al momento del pagamento del corrispettivo o, se anteriore, al momento dell’emissione della fattura.
Nella fattispecie in questione, la prestazione era stata sì ultimata nel 1987, ma il pagamento era avvenuto soltanto dieci anni dopo, in esito al contenzioso civile, né tantomeno il contribuente aveva dimostrato di aver nel frattempo fatturato i relativi importi.

Ulteriori osservazioni
L’articolo 52 del Dpr 633/1972 disciplina le attività degli organi verificatori, presso i locali dei contribuenti, effettuate per reperire documenti e altri mezzi di prova utili all’accertamento dell’imposta evasa. La disposizione è congegnata in modo da contemperare, anche in ossequio al principio di rango costituzionale di inviolabilità del domicilio (articolo 14 della Costituzione), l’interesse del Fisco alla repressione dei fenomeni evasivi con le garanzie previste a favore dei contribuenti. In particolare:
  • per l’accesso effettuato in locali adibiti esclusivamente all’esercizio dell’attività commerciale o professionale, è sufficiente l’autorizzazione del capo dell’ufficio, da cui dipendono i verificatori, che ne indichi lo scopo
  • per accedere ai locali a uso “promiscuo”, è necessaria anche l’autorizzazione del procuratore della Repubblica
  • per l’accesso in locali diversi (ovvero destinati esclusivamente ad abitazione), l’autorizzazione del Pm può essere richiesta e rilasciata soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme fiscali (cfr Cassazione, sentenza 9611/2008).
Negli ultimi due casi, quindi, la necessità dell’autorizzazione del Pm rappresenta la garanzia, per il contribuente, del rispetto dell’inviolabilità del domicilio; se, però, nella seconda ipotesi l’autorizzazione è un mero adempimento procedimentale (pur sempre previsto a pena di nullità delle acquisizioni probatorie e del conseguente atto impositivo), per l’opportunità che l’accesso trovi pur sempre l’avallo dell’autorità giudiziaria, la sussistenza di gravi indizi di violazione della norma tributaria rappresenta un quid pluris rispetto all’autorizzazione, che diventa provvedimento valutativo (sindacabile da parte del giudice tributario: cfr Cassazione, 6836/2009 e 8062/1990) della ricorrenza, nella fattispecie specifica, dei presupposti giustificativi dell’ingresso nell’abitazione del contribuente.

Anche per l'apertura di cassetti e borse e quant'altro risulti protetto da chiusure, è necessaria l'autorizzazione del magistrato, in quanto tali beni sono attratti nella categoria concettuale del domicilio. L'eventuale assenso del contribuente – che fa venir meno la richiesta di autorizzazione al Pm – legittima l'operato dei verificatori. Il consenso, poi, dovrà essere trascritto sia nel processo verbale di accesso o giornaliero sia nel pvc.
Sul punto, è emblematica la sentenza della Cassazione 9565/2007, secondo cui occorre l'autorizzazione del procuratore della Repubblica solo per procedere ad “apertura coattiva” di borse, non essendo, invece, necessaria l'autorizzazione ove l'acquisizione di documenti contenuti in borse sia avvenuta con la collaborazione e in continua presenza del figlio e della moglie del contribuente e, comunque, senza la manifestazione di alcuna contraria volontà.

Si segnala, infine, un orientamento giurisprudenziale in base al quale, nel caso di accesso domiciliare già autorizzato dall’Autorità giudiziaria, non è necessaria una ulteriore autorizzazione specifica all’apertura di cassetti e borse, per la forza attrattiva della prima autorizzazione. Una volta valutata la sussistenza degli indizi di cui all’articolo 52 del Dpr 633/1972, l’autorizzazione si estende all’intero domicilio (e quindi anche a cassetti, borse, plichi, eccetera, in virtù della forza attrattiva di cui sopra).
Sul punto, la Corte di cassazione, con sentenza 14056/2006, in maniera netta e chiara, ha operato una distinzione: “l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica per l'apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti e simili, prevista dall'art. 52, comma 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, richiamato dall'art. 33 del D.P.R. n. 600 del 1973, è richiesta solamente nel caso di accesso disposto dagli uffici […] nei locali dell’impresa, ma non anche nel caso di perquisizione domiciliare già autorizzata dall'Autorità giudiziaria, essendo evidente che l'autorizzazione alla perquisizione domiciliare è comprensiva di ogni attività strumentale necessaria per l'acquisizione delle prove (Cass. n. 20824/2005)”.
Francesco Brandi

lunedì 16 marzo 2015

Se manca la relativa dichiarazione, |non c’è credito riportabile a nuovo

Se manca la relativa dichiarazione, |non c’è credito riportabile a nuovo



L’omissione legittima l’iscrizione a ruolo, scaturita da controllo automatizzato, per disconoscimento dell’eccedenza che era stata fatta valere nel successivo periodo d’imposta
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La pronuncia 22402/2014 della Corte di cassazione applica, a una fattispecie relativa all’omessa presentazione della precedente dichiarazione, il proprio consolidato indirizzo sull’esclusione di apposita motivazione della cartella di pagamento emessa a seguito dell’iscrizione a ruolo conseguente a un controllo automatizzato delle dichiarazioni dei redditi, ammesso ai sensi dell’articolo 36-bis del Dpr n. 600/1973 allorquando i dati emergano dalla dichiarazione stessa.
Più precisamente, nella controversia oggetto dell’intervento della Corte regolatrice del diritto in rassegna, il contribuente aveva contestato la carenza di detta motivazione, ma l'ufficio finanziario opponeva che il disconoscimento dei crediti di imposta emergente dalla successiva dichiarazione dei redditi era derivato dalla omessa presentazione della dichiarazione dei redditi dell'anno precedente risultante dall'Anagrafe tributaria.

La Commissione tributaria regionale aveva, invece, ritenuto decisiva, non tanto l’allegazione della copia del modello Unico per il periodo d’imposta omesso (attestante l'impegno alla presentazione telematica da parte del professionista incaricato, che era evidentemente restato inadempiente), ma l’impegno - poi realizzatosi - alla presentazione della dichiarazione omessa ai sensi dell’articolo 2 del Dpr n. 322/1998, entro i termini di decadenza dall'accertamento, la quale “quindi, avrebbe dovuto essere oggetto di accertamento in rettifica”.

Il disconoscimento dei crediti d’imposta riportati nella dichiarazione successiva a quella omessa, dalla quale i cennati crediti d’imposta scaturivano, risulta fondata - a opinione della decisione della Cassazione in commento - sul secondo comma dell’articolo 36-bis citato, ove si prevede che “sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate e di quelli in possesso dell'anagrafe tributaria, l'Amministrazione finanziaria provvede a… e) ridurre i crediti d'imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalla dichiarazione”.
Pertanto – e correttamente a nostro avviso – non assume alcuna rilevanza la tardiva presentazione della dichiarazione dei redditi dalla quale emergeva il credito d’imposta riportato nella successiva dichiarazione, in quanto, peraltro, essa era stata presentata soltanto nel corso del giudizio di primo grado.

A conforto di tale interpretazione, la sentenza del Supremo collegio che in annota evidenzia come il disconoscimento dei crediti d’imposta in esame era legittimato anche dalla disposizione contenuta nel quarto comma del citato articolo 36-bis, secondo la quale “i dati contabili risultanti dalla liquidazione prevista nel presente articolo si considerano, a tutti gli effetti, come dichiarati dal contribuente e dal sostituto d'imposta”.

La giurisprudenza della Corte di legittimità sull’esclusione di apposita motivazione da esporre nella cartella di pagamento a seguito del suddetto controllo automatizzato si rinviene nella sentenza citata da questa in commento - 7 giugno 2013, n. 14376 - laddove la rettifica dei risultati della dichiarazione non comporti una pretesa ulteriore da parte dell'Amministrazione finanziaria.

Peraltro, nella precedente pronuncia del Supremo collegio 23 maggio 2012, n. 8137, si era affermato che deve escludersi un particolare onere di motivazione, poiché il contribuente si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l'effetto che l'onere di motivazione può considerarsi assolto dall'ufficio mediante mero richiamo alla dichiarazione medesima.

La legittimità dell’emissione della cartella di pagamento non preclude il riconoscimento del rimborso dell’eccedenza fiscale azionabile col meccanismo della ripetizione dell'indebito come ammesso dalla sentenza in commento, che ritiene applicabile il principio espresso dalla giurisprudenza di legittimità riguardo all’Iva, con le decisioni - parimenti citate da questa in commento 12 gennaio 2012, n. 268, e 2 aprile 2014, n. 7600 - ove si è statuito che il venir meno del diritto alla detrazione non elide il diritto al rimborso.


a cura di Giurisprudenza delle imposte edita da ASSONIME

venerdì 13 marzo 2015

Iva, unica soluzione o prima rata:|appuntamento per lunedì 16 marzo

Iva, unica soluzione o prima rata:|appuntamento per lunedì 16 marzo



Si avvicina la scadenza per il versamento del saldo relativo all'anno d'imposta 2014, senza maggiorazione di interessi, per i contribuenti che presentano la dichiarazione autonoma
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I contribuenti che hanno deciso per la dichiarazione Iva in forma autonoma hanno tempo fino a lunedì 16 marzo per pagare il saldo Iva 2014, al netto di interessi.
L’appuntamento è categorico per tutti i contribuenti che si avvalgono della dichiarazione annuale sganciata da Unico, “opzionale” per chi invece presenta la dichiarazione unificata. In quest’ultimo caso, infatti, è possibile rinviare il saldo alla stessa scadenza prevista per il pagamento delle imposte risultanti da Unico (16 giugno ovvero 16 luglio con la maggiorazione dello 0,40%), con applicazione della maggiorazione dello 0,40% per ogni mese o frazione di mese successivo al 16 marzo.

Chi e come
L’importo da versare per il saldo annuale è quello risultante dal modello Iva 2015 presentato per il periodo d’imposta 2014. Il versamento non va effettuato se l’importo dovuto è pari o inferiore a 10,33 euro (10 euro, per effetto dell’arrotondamento).
La scadenza riguarda imprenditori, artigiani e commercianti, agenti e rappresentanti di commercio, lavoratori autonomi, titolari di partita Iva iscritti o meno all’albo professionale, società, enti pubblici e privati, istituti di credito, intermediari finanziari.
Per effettuare il pagamento, va utilizzato il modello F24 telematico, con indicazione del codice tributo 6099 (versamento Iva sulla base della dichiarazione annuale).

Pagamenti rateizzati
Il versamento può avvenire in un’unica soluzione o in maniera frazionata.
In quest’ultimo caso, il numero massimo di rate consentite è nove, dal momento che il pagamento deve comunque concludersi entro il mese di novembre. La prima scade il 16 marzo, per le altre il termine è fissato al giorno 16 di ciascuno dei mesi successivi. L’importo di queste ultime deve essere maggiorato degli interessi nella misura dello 0,33% mensile; ciò significa che la seconda rata va aumentata dello 0,33%, la terza dello 0,66%, la quarta dello 0,99%, e così via.
Patrizia De Juliis

Se il recupero rimane sulla carta, |il Fisco recupera l’agevolazione

Se il recupero rimane sulla carta, |il Fisco recupera l’agevolazione



Gli sconti sulla registrazione dell’atto sono “provvisori” e vengono perduti se le buone intenzioni non si concretizzano entro il triennio a disposizione del Fisco per la rettifica
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In tema di agevolazioni fiscali previste dall’articolo 5 della legge 168/1982, i benefici in favore dell’acquirente dell’immobile inserito in un piano di recupero di iniziativa pubblica o privata convenzionato possono essere conservati, a condizione che il contribuente realizzi i lavori entro il termine triennale di decadenza previsto per l’esercizio del potere di accertamento dell’ufficio.
Di conseguenza, detto termine decadenziale entro il quale può essere emesso l’avviso di liquidazione in rettifica, inizia a decorre, al massimo, dalla scadenza del triennio dalla registrazione dell’atto.
Questo il principio di diritto desumibile dall’ordinanza della Cassazione n. 3152 del 17 febbraio 2015.
Nella decisione, peraltro, viene precisato il concetto di “forza maggiore”, intesa come “un'energia esterna, idonea a costituire impedimento forzoso della condotta imposta dalla legge”.

I fatti di causa
La vicenda trae origine da un avviso di liquidazione per imposte di registro, ipotecarie e catastali conseguente alla revoca dell’agevolazione ex articolo 5 della legge 168/1982, relativamente a un immobile dichiarato soggetto a piano di recupero. L’ufficio aveva riscontrato che, nonostante fossero decorsi tre anni dalla data di acquisto, la società non aveva effettuato i lavori di recupero immobiliare.

La parte impugnava l’avviso con ricorso accolto dalla Ct di I grado di Bolzano.
In II grado, la Commissione tributaria respingeva l’appello dell'ufficio, evidenziando che le ragioni dedotte dal contribuente apparivano valide sia in considerazione del fatto che il ritardo nell'esecuzione dei lavori appariva pienamente giustificato sia perché il termine decadenziale previsto dall’articolo 76, comma 2, del Dpr 131/1986, presupposto dell'avviso di liquidazione in rettifica emesso dall’Amministrazione finanziaria, non poteva estendersi anche al contribuente ai fini dell'integrazione della sua decadenza dal diritto, dovendosi invece applicare al caso l'ordinario termine decennale di prescrizione, ai sensi dell'articolo 2946 del codice civile.

Contro quest’ultima pronuncia l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione.

Il giudizio e la pronuncia della Cassazione
Fra i motivi di doglianza, l’ufficio denunciava la violazione o falsa applicazione dell’articolo 5 della legge 168/1982 e dell’articolo 76 del Dpr 131/1986, per avere il giudice di merito ritenuto non applicabile, nella specie, il termine di decadenza fissato dall’articolo 76, ma l’articolo 2946 cc, dettato in materia di prescrizione, nonché il vizio di motivazione della sentenza nella parte in cui la Ctr aveva attribuito il carattere di “forza maggiore” alla circostanza che l’attuazione del progetto di recupero va sottoposto al vaglio della Pubblica amministrazione.

I giudici di legittimità, decidendo in camera di consiglio per manifesta fondatezza del ricorso, hanno cassato la sentenza di secondo grado, chiarendo che le agevolazioni tributarie previste dall’articolo 5 della legge 168/1982, in favore dell'acquirente dell'immobile inserito in un piano di recupero di iniziativa pubblica o privata convenzionato, possono essere conservate a condizione che il contribuente realizzi i lavori di restauro entro il termine triennale di decadenza previsto per l'esercizio del potere di accertamento dell'ufficio. “Di conseguenza, deve ritenersi che il detto termine decadenziale dall'azione dell'Ufficio inizi a decorrere dal momento in cui l'intento del contribuente sia rimasto definitivamente ineseguito e quindi - giacché il termine a disposizione del contribuente non potrà essere più ampio di quello in sé previsto per i controlli - al massimo dalla scadenza del triennio dalla registrazione dell'atto (Cass. Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 13703 del 30/05/2013)”.

La Corte suprema ha, inoltre, precisato che i giudici di merito, nel richiamare genericamente la prova fornita dalla parte di “essersi data da fare dall'inizio e senza soluzione di continuità...per raggiungere lo scopo prefisso”, non solo non hanno identificato correttamente il concetto di “causa di forza maggiore” idonea a giustificare la deroga al termine decadenziale di legge, ma non hanno idoneamente argomentato in ordine alle fonti di prova che hanno determinato il proprio convincimento.

Osservazioni
Ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro e di quelle ipotecarie e catastali in misura fissa, ai sensi dell’articolo 5 della legge 168/1982, è richiesto che, al momento della registrazione, sia dichiarata l’esistenza di due requisiti: uno oggettivo, che consiste nell’inserimento degli immobili nei piani di recupero; uno soggettivo, che consiste nella circostanza che l’acquirente sia uno dei soggetti che attuano il recupero.
La richiesta di agevolazioni, qualora non effettuata nell'atto di acquisto, può essere formulata anche successivamente con un atto integrativo redatto nella stessa forma dell'atto precedente (cfrrisoluzione 110/2006). La norma di favore non prevede un termine entro il quale attuare il recupero. Ciò ha generato un contrasto giurisprudenziale.

Una parte minoritaria della giurisprudenza, muovendo dal tenore letterale dell’articolo 5, ha sottolineato come detta disposizione non preveda alcun termine di decadenza per il caso di mancato recupero dell’immobile ed è, quindi, sprovvista di sanzione (Cassazione, sentenza 8480/2009).
Secondo l’orientamento prevalente, invece, la norma, subordinando l’agevolazione fiscale all’esistenza del duplice requisito oggettivo e soggettivo, comporta che il beneficio spetti soltanto quando si realizzano tutti gli elementi che integrano la fattispecie normativa e che l’agevolazione sia correlata all’effettiva attuazione del piano di recupero previsto all’atto del trasferimento dell’immobile (Cassazione, sentenze 11786/2008, 13703/2013).

In particolare, secondo quest’ultima tesi, avallata dall’ordinanza in esame, il contribuente, a pena di decadenza, deve realizzare l’intento dichiarato nell’atto di trasferimento entro il termine triennale previsto per l’esercizio del potere di accertamento dell’ufficio (ex articolo76 del Dpr 131/1986).
In altri termini, il beneficio fiscale richiesto dal contribuente è solo provvisoriamente concesso dalla legge al momento della registrazione dell’atto di trasferimento. Successivamente alla registrazione, la sussistenza dei citati requisiti deve essere accertata dall’ufficio, configurandosi la differenza d’imposta eventualmente recuperata come una specie di imposta complementare (ex articolo 42 del Dpr 131/1986), mentre l’attuazione effettiva del recupero da parte del soggetto che si impegna in tal senso costituisce un evento futuro rispetto alla registrazione.

Ne discende che, ai sensi dell’articolo 2697 del codice civile, è onere del contribuente dimostrare, in seguito alla contestazione dell’ufficio, i fatti che palesino il raggiungimento dello scopo, ovverosia la effettiva realizzazione dell’intento dichiarato nell’atto, perché tale intento rappresenta un elemento costitutivo per il conseguimento del beneficio fiscale richiesto.
Il contribuente che non abbia attuato il recupero entro il predetto termine non perde, tuttavia, il diritto ai benefici, qualora provi che il superamento del termine non è dipeso da fatti a lui imputabili.

Sulla questione, però, la giurisprudenza di legittimità non è unanime.
Secondo un primo orientamento, il contribuente non perde i benefici fiscali nell’ipotesi in cui il superamento del termine è imputabile agli uffici competenti nel rilascio della necessaria documentazione amministrativa, gravando in tal caso sulla parte l’ulteriore onere probatorio di aver operato con adeguata diligenza e tempestività allo scopo di conseguire la certificazione in tempo utile (cfr Cassazione, sentenza 20259/2010).
Nella ordinanza in esame, invece, la Corte suprema ha ribaltato l’orientamento, ritenendo che la causa di forza maggiore idonea a superare il termine decadenziale di legge “non può riposare in una semplice mancanza di negligenza, ma deve invece consistere in un'energia esterna, idonea a costituire impedimento forzoso della condotta imposta dalla legge”.
Annalisa Loparco